Deutschland über alles! la partita del gas tra Germania, Russia e USA

L’energia è oggi, come ieri, un nodo centrale delle politiche strategiche globali. Il gas naturale, in particolare, è venuto assumendo negli anni un’importanza fondamentale nella ridefinizione degli equilibri globali.

Il 4 settembre con la firma dell’accordo per il raddoppio del gasdotto North Stream si apre uno scenario preoccupante per le forniture di gas all’UE. Avevamo già parlato degli scenari sul gas in occasione dell’accordo per la realizzazione del Power of Siberia e in occasione dello Sblocca Italia.

Siamo alla terza puntata.

L’Europa e l’Italia sono fortemente dipendenti dalle importazioni di gas, e da questo punto di vista la Russia fa la parte del leone soddisfacendo, nel 2014, il 29% del fabbisogno del continente (il 46% delle importazioni italiane), per un controvalore di 50 miliardi di euro l’anno (2013).

La dipendenza energetica ha posto le condizioni per la Russia di progettare due nuovi metanodotti, in aggiunta a quello di epoca sovietica che transita per l’Ucraina. Si tratta del North Stream (che congiunge il Mar Baltico alla Germania saltando i Paesi est europei) e del South Stream (dal mar nero ai Paesi balcanici fino all’Italia ed all’Austria). Ma se il primo è stato realizzato in tempi brevi e ha iniziato a trasportare il gas russo già nel 2011, il secondo è stato abbandonato per rinascere, a parole, dalla sue ceneri con il nome di Turkish stream.

Il North Stream attualmente ha una capacità di 55 bcm/y. Lo scorso 18 giugno Russia e Germania hanno siglato un accordo per il raddoppio del gasdotto. portandola da 55 miliardi di metri cubi l’anno a 110, ovvero la quasi totalità dei 117 miliardi di metri cubi l’anno che l’Europa importa dalla Russia. I protagonisti sono la russa Gazprom (51%) e la tedesca BASF (31%). Gazprom entra nel sistema di distribuzione di gas in centro Europa tramite uno “scambio di beni” con Wintershall (100%BASF) ed acquisendo importanti stoccaggi di gas in Austria e Germania oltre al pieno controllo di Wieh e Wiee (società di distribuzione) e il 50% di Wintershall Nordzee (estrazione offshore in Olanda, UK e Danimarca). Wintershall riceverà in cambio il 25% di due blocchi del giacimento siberiano Urengoy.

Il raddoppio del North Stream (che costerebbe 10 milioni di euro) porterebbe la Germania ad essere il paese dominante in Europa per le forniture di gas, tagliando fuori soprattutto l’Italia. Inoltre l’altro gasdotto che arriva in UE senza passare per l’Ucraina (Russia – Bielorussia – Polonia – Germania), lo Yamal, ha una capacità di transito di 33 bcm/y. La somma della capacità di transito del nuovo North Stream e dello Yamal è superiore al totale annuale dell’importazioni UE dalla Federazione Russa.

A questo punto diventa molto improbabile la realizzazione del Turkish stream, il progetto che avrebbe dovuto fornire gas all’UE dal lato meridionale e che nasceva in alternativa all’abbandonato South Stream. Frau Merkel si assicura il controllo sul transito del gas russo verso l’UE detronizzando l’Ucraina (che nel 2012 ha incassato 3 miliardi di euro per diritti di transito) e rafforzando il suo ruolo dominante.

Intanto, negli ultimi anni, nell’Unione Europea si assiste alla diminuzione del consumo di gas. Nel 2014 il consumo totale è stato di 409 miliardi di metri cubi (-11,2% rispetto al 2013 fonte: DG energy UE).

Quindi la Germania, storicamente priva di gas e petrolio, si assicura il controllo sulle forniture di gas dell’intera UE.

Settantasei anni fa, il 23 agosto 1939, Molotov e Ribbentrop firmarono il patto di non belligeranza tra Russia e Germania. La Germania aveva (ed ha) ingenti depositi di carbone e negli anni ’30 del ‘900 implementò fortemente la produzione di benzina sintetica da carbone. Motore produttivo fu la famigerata IG Farben (la BASF cambiò il nome in IG Farben nel dicembre 1925) che utilizzava i detenuti di Auschwitz nella fabbrica dove lavorò anche Primo Levi. Nel 1939 i 14 impianti per il combustibile sintetico coprivano quasi il 46% dei bisogni petroliferi della Germania. Il patto, oltre ad assicurare la neutralità dell’URSS garantiva le forniture di petrolio per l’avanzata tedesca. L’invasione nazista del 22 giugno 1941, che prova a conquistare i campi petroliferi del Caspio a Baku, blocca le forniture a Hitler. La carenza di benzina e il fallimento di quella azione portò alla fine della guerra lampo e contribuì alla sconfitta del reich.

Nessun paragone è possibile tra quella vicenda e l’attualità ma l’energia era allora ed è oggi il centro delle politiche strategiche.

Il dominio tedesco in Europa, attraverso gli accordi con la Russia, si accompagna ai movimenti extra-europei della stessa Russia, che lo scorso anno ha trovato un accordo con la Cina per venderle 38 miliardi di metri cubi di gas l’anno a partire dal 2017 (gasdotto Power of Siberia). La Russia quindi diversifica le sue forniture energetiche globali proprio mentre la Ue diventa sempre più dipendente dal gas naturale russo.

La partita, naturalmente, interessa anche e soprattutto gli Stati Uniti. I movimenti russi potrebbero essere letti come il tentativo difensivo di slegarsi dal gasdotto ucraino, che non offre più solide garanzie dopo che il Presidente filo-russo Janukovyc è stato sostituito da Porosenko, dichiaratamente filo-atlantico. È bene chiedersi quale sia stato il ruolo degli Stati Uniti in questo improvviso capovolgimento politico.

L’Italia, in tutto ciò, non dovrebbe semplicemente accodarsi all’imperialismo più forte (che rimane di gran lunga quello americano, soprattutto a livello militare), ma agire di sponda per riguadagnare le sostanziose porzioni di sovranità sottratte al popolo italiano negli ultimi decenni.

L’Italia non ha bisogno né di un’Europa a guida tedesca, né di un nuovo imperialismo russo-cinese né, soprattutto, del soffocante e deleterio imperialismo americano. I conflitti tra le superpotenze vanno sfruttati con strategia, ma sempre tenendo conto che il fine ultimo è la sovranità del popolo italiano.

In questo senso, la prima e principale mossa deve riguardare gli investimenti in efficienza energetica, produzione distribuita di energia, sistemi di accumulo e fonti rinnovabili. Ma per passare dalle parole ai fatti servono statisti, e non marionette catapultate a Palazzo Chigi da precisi interessi esteri.

Insomma la Germania al di sopra di tutti, ma in questi giorni sotto le ruote dell’auto del popolo. Lo scandalo Volkswagen ha travolto una nazione intera e si sta espandendo a macchia d’olio, assumendo proporzioni gigantesche. Si parla di 11 milioni di vetture e 24 miliardi di euro bruciati in due giorni dal crollo del titolo in borsa.

Il caso è scoppiato il 21 settembre e subito ha fatto il giro del mondo, ma pare che già dallo scorso anno negli Usa se ne parlasse. Risale infatti al 2014 uno studio della West Virginia University per l’International Council on Clean Transportation, volto a comprendere come mai i risultati dei test di laboratorio su alcuni veicoli diesel Volkswagen fossero così discrepanti rispetto ad altre prove effettuate su strada. Dallo studio si è scoperto che una Volkswagen Jetta emetteva quantità di ossidi di azoto 35 volte superiori ai limiti di legge e di gran lunga superiori a quanto rilevato in laboratorio.

Viene da chiedersi quindi, come mai il caso è stato tenuto “in caldo” per oltre un anno ed è stato fatto esplodere giusto a 15 giorni di distanza dalla firma dell’accordo Germania/Russia sul gas?

Sarà una coincidenza? Oppure agli americani inizia a preoccupare questa nuova corrispondenza di amorosi sensi tra Frau Merkel e lo Zar Putin?